Non solo commemorazioni e resistenza ma proposte
Nel 2009 l'Anpi, l'associazione dei partigiani, ha raggiunto il numero di 110 mila iscritti. Un boom mai visto.
Nel giro di tre anni si è passati da 83 a 110 mila iscritti (+32%) e se si considera il calo fisiologico dei partigiani storici (-10%), il tutto si rivela come un evento ancora più grande.
Di quei partigiani che hanno combattuto moltissimi non sono più presenti e questa è una assenza che ci rende tutti più deboli, un impoverimento culturale che ha dato spazio a folli dichiarazioni di disprezzo che definiscono “la Resistenza come evento di parte, incapace di unire e di pacificare”.
A riconferma invece della validità dei valori della Resistenza di unione e di pace vi è la quota di nuovi iscritti (10%) di giovani fra i 18 e i 30 anni, mentre il grosso (60-65%) appartiene alla fascia dei 35-65enni, cioè quelli nati nel periodo della democrazia consolidata.
Tutto ciò è stato reso possibile dal nuovo statuto che dal 2006 ha aperto le porte a chiunque dichiari e sottoscriva di essere antifascista, ma questo non sarebbe sufficiente a spiegare la voglia dei molti a identificarsi nell’Anpi.
I giovani e perfino giovanissimi, le nuove leve di "ragazzi partigiani", vogliono oggi contribuire alla causa per la quale i partigiani lottarono e morirono allora: la democrazia e la Costituzione.
Perché questa convinzione di un bisogno di nuova resistenza, loro che di Resistenza ne hanno sentito parlare solo vagamente?
Forse è proprio per questo, per il fatto che non se ne parla ne si studia a scuola, e vogliono che lo sia.
Forse perché troppe sono oggi le affermazioni, urlate e convogliate nel comune senso del televisore, di attacco alla Costituzione, di negazione o condanna della Resistenza, di manifestazioni di odio etnico, e questo non lo accettano.
Hanno capito che è in discussione il loro futuro, la convivenza civile, quei valori che hanno già imparato a riconoscere.
Anche i meno giovani, quelli che nati e vissuti negli anni del dopoguerra, della crescita economica prima e del benessere poi, sino a quelli attuali della recessione, sentono il bisogno di identificarsi come antifascisti.
Hanno visto attorno a sé la crescita, in una metamorfosi culturale, di una comunità che richiede una leadership forte, che accetta e idealizza la mistificazione, se espressa dal potente, come una nuova libertà, che esprime volontà e capacità di esercitare il disprezzo per mantenersi vitale, che tende all'autoritarismo tipico della cultura italiana che rifugge dal confronto delle idee e predilige invece la disciplina dello stato forte.
Come antifascisti moderni non si figurano certo un futuro di camice nere in giro per la città, squadristi, parate militari, arresti o quant’altro, ma sono più semplicemente consci di un presente democratico fatto però anche di una preoccupante e crescente illegalità legalizzata, di una licenziosità fatta vanto, della prepotenza del potere, della nuova popular culture: la penisola dei famosi, il capolavoro della spensieratezza.
È il fascismo che ritorna e nessuno si scandalizza, anzi, tutto questo fa curriculum e la politica si sta riempiendo di sindaci e ministri legati chi al culto del potere, chi a quello del Duce, chi del favore sessuale o della violenza verbale; tutti eletti con il consenso popolare.
Chi ha deciso di iscriversi all’Anpi oggi può averlo fatto anche perché non riesce più ad identificarsi con le forze politiche democratiche, oggi immobili o risucchiate nel gorgo delle contese intestine, che hanno lasciato estinguere inesorabilmente la propria missione politica regalando spazio ad una destra gretta e ostile e dimostrando così tutto il ritardo con la storia e con l’intelligenza.
Chi ha deciso di iscriversi all’Anpi può averlo fatto perché l’Anpi non è solo un ente morale ma è uno stile di vita.
L’Anpi è sempre stato un modello culturale limpido, pulito, senza arrivismi, fatto non solo di commemorazioni e ricordi, ma di operosità e correttezza morale; non solo resistenza quindi, ma anche proposte, programmi, iniziative atte ad affermare i propri valori e a rilanciare la propria cultura.
L’aumento degli iscritti ha riportato entusiasmo nelle sezioni di tutta Italia; si è verificata una vera rivoluzione anagrafica e culturale che deve essere sostenuta e guidata.
Ora ci sono queste nuove e giovani forze dalle quali attingere energia e idee per prendere i giovani, tutti i giovani, anche quelli che hanno votato con entusiasmo a destra, dove la scuola li ha lasciati, vuoti di storia, e portarli ad una riflessione e che poi votino per chi credono, ma da antifascisti.
Questo stanno facendo molte sezioni soprattutto nella nostra zona, che stanno lavorando tanto e lavorando bene, che hanno aperto le porte ad associazioni e partiti per costruire una importante rete di iniziative.
Hanno lasciato a casa un po’ di riserbo e portato in strada persone con le loro idee, partiti con le loro bandiere, associazioni con i loro obiettivi, senza vincoli pregiudiziali; d’altronde non credo si possa immaginare una manifestazione del 25 aprile senza associazioni e bandiere, anche quelle dei partiti.
Cercano di aprire di più il dialogo generazionale, di costruire un nuovo linguaggio, responsabilizzando tutti sulle proprie azioni, sia giovani che anziani, sia junior che senior, un po’ meno commemorazione e un po’ più esuberanza:
d’altronde anche la Resistenza sarebbe stata meno incisiva senza l’esuberanza dei giovani di allora.
L’esuberanza porta anche alla contestazione rumorosa, ma se è giusto che tutti possano parlare dal palco è anche giusto poter esprimerne il dissenso, purché rimanga nei limiti del lecito, se ciò serve a preservare i valori.
L’attualità della politica ci porta a riflettere sulla questione posta da un avveduto Sandro Pertini che si domandava “Verrà il giorno in cui dovremo vergognarci di aver combattuto contro il fascismo, e costituirà colpa l’essere stati in carcere, torturati, uccisi o messi al confino?".
No, Sandro, credo che non avverrà mai almeno finché ci saranno nuovi partigiani.
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