Anniversario della Liberazione a Cinisello Balsamo 1946, 1951

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domenica 8 gennaio 2012

5 gennaio 2012, è scomparso don Luisito Bianchi, partigiano, prete operario, cappellano al monastero di Viboldone

«Il monastero di Viboldone è come una luce, ma il mio ascolto è stato preparato durante gli anni di fabbrica, con il vociferare dei motori. È in mezzo al rumore che ho ricevuto il dono del silenzio».


Don Luisito Bianchi

È morto il 5 gennaio 2012, all’età di 84 anni dopo anni di sofferta malattia.

Finché le forze glielo hanno consentito ha sempre fatto la spola tra il monastero di Viboldone, cuore della diocesi ambrosiana, e la città perché, diceva, «c’è sempre una tentazione: quella di confinare la preghiera, la fede, il silenzio, il dono gratuito di Dio, all’interno di una istituzione. Il silenzio non è patrimonio dei monasteri, è una grazia. Ed è grazia quando si vive in un monastero, quando si lavora, quando si è a casa propria. Anche per rendere evidente questo non confinarsi in una struttura, da anni, io trascorro una settimana qui e una nella mia città. Da quando ho avuto un piccolo incidente mi sono dovuto fermare qui, ma al più presto spero di poter riprendere il mio andirivieni. Non dobbiamo cedere alla tentazione dei discepoli che chiedono al Signore "facciamo tre tende"». 

Don Luisito Bianchi prete dal 1950. Aveva lavorato come insegnante, traduttore, prete operaio, inserviente in ospedale e cappellano delle benedettine del monastero di Viboldone, anche se era rimasto sempre prete diocesano Ha pubblicato numerose opere di poesia e di teatro; tra queste, Simon Mago (2002), Dialogo sulla gratuità (Gribaudo 2004) e Monologo partigiano (Il Poligrafo, 2004). Il suo testo più noto è il grande romanzo sulla Resistenza La messa dell’uomo disarmato (Sironi, 2003). Nel 2008 è uscito I miei amici (Sironi), la raccolta dei diari degli anni di fabbrica (1968-1970). Era noto per le sue prese di posizione per una Chiesa povera accanto ai poveri.

I funerali si sono svolti  sabato 7 gennaio presso l’abbazia di Viboldone a San Giuliano Milanese.
Ha voluto una tuta da operaio nella bara e un asinello ad accompagnare il corteo funebre verso il cimitero. Sono due particolari che la dicono lunga su quanto don Luisito Bianchi, vecovatino doc fosse un prete ‘diverso’ e straordinario, un sacerdote fuori dagli schemi. Era conosciuto come il prete partigiano, ‘ribelle’, operaio e scrittore. Tanto originale quanto amato: lo testimonia la folla commossa che ha partecipato al suo funerale nella chiesa parrocchiale di San Leonardo.
Il feretro, una bara semplice di legno scuro, decorata solo dalla presenza di un ramo di vischio, è arrivato davanti alla parrocchiale alle 14.15, proveniente dall’abbazia benedettina di Viboldone (alle porte di Milano), dove il vescovo Dante Lafranconi ha celebrato la prima cerimonia funebre. La seconda, invece, è stata celebrata a Vescovato dal vicario generale della diocesi monsignor Mario Marchesi, affiancato dal parroco locale don Angelo Lanzeni, dal delegato episcopale per il clero monsignor Mario Barbieri e da una trentina di parrocci, tra cui diversi rappresentanti del Seminario di Cremona. A dare l’ultimo saluto a don Luisito, oltre ai parenti e a tanti vescovatini, c’erano anche il sindaco Giuseppe Superti in fascia tricolore, il consigliere provinciale Giuseppe Torchio e numerosi rappresentanti delle ACLI e dell’A.N.P.I.


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